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PERCHE’ OBAMA VUOLE PARLARE CON NAPOLITANO

IL RIFORMISTA
di venerdì 21 maggio 2010

di LUIGI SPINOLA
Tutto quello che mi è stato detto di «lui è vero. Il Presidente Giorgio Napolitano è uno straordinario gentiluomo. Un leader mondiale. E per la sua leadership, presidente, la ringrazio». Era parso ai più irrituale, sorprendente perfino per il Quirinale, lo sperticato elogio che Barack Obama aveva rivolto a Giorgio Napolitano al termine del loro incontro romano, alla vigilia del G8. Quasi un endorsement, più che una cortesia diplomatica, a uno statista scelto come interlocutore privilegiato.

Ora che la crisi della nostra moneta costringe Barack Obama a pensare la fin qui trascurata Europa, quell’invito personale consegnato a luglio diventa più pressante.

Nell’ansiosa conversazione transatlantica che si è aperta nelle ultime settimane, il presidente degli Stati Uniti vuole sentire anche la voce del presidente italiano. Perché nei giorni in cui Obama al telefono incalza l’ondeggiante leadership europea, suggerendo try something big», Napolitano dice le stesse cose. Gli americani apprezzano. E visto che ormai i più convinti sostenitori dell’integrazione europea stanno a Washington, vogliono conoscere le valutazioni di un fiero europeista.

Così quel viaggio americano che al Quirinale avevano messo in agenda per settembre-ottobre, con un piccola forzatura al cerimoniale è stato anticipato. La richiesta è arrivata alla nostra ambasciata a Washington solo venerdì scorso. Martedì Giorgio Napolitano sarà alla Casa Bianca, per rassicurare Barack Obama sulla tenuta politica ed economica del vecchio continente. Trentadue anni dopo essere stato il primo dirigente comunista italiano a poter mettere i piedi sul suolo degli Stati Uniti.

Giorgio Napolitano agli americani interessa già allora. Ma per poterci parlare devono incontrarlo in segreto, racconta l’Ambasciatore Richard Gardner nel suo Mission Italy: on the frontlines of the Cold War. L’Italia dove Gardner sbarca nella primavera del  `77 è «il problema politico più grave che abbiamo in Europa» sentenzia Zbigniew Brzenzinski, Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Jimmy Carter. Neanche la nuova Casa Bianca democrat vuole il compromesso storico. Ma decide di avviare i primi, segretissimi contatti con il Pci «da amici di cui potevamo fidarci per la loro completa discrezione».

Per il primo incontro Richard Gardner sceglie Giorgio Napolitano «un leader intelligente, pragmatico, sinceramente impegnato nel tentativo di portare i comunisti verso la socialdemocrazia europea». E’ l’inizio di un dialogo intenso – sull’eurocomunismo, le prove tecniche atlantismo – di cui non deve rimanere traccia.

Gardner evita perfino di mandare telegrammi, riferisce a voce a Washington al vertice del Dipartimento di Stato. La breccia però si apre. E arriva anche il primo visto per gli Stati Uniti. A metà degli anni `70 Napolitano era stato invitato dal Mit. Ma l’America kissingeriana aveva detto no. Il viaggio della primavera del `78 somiglia a una tournée, tra Yale, Princeton e incontri nelle redazioni dei principali quotidiani liberal, dal Washington Post al New York Times. Ma quando torna, su Rinascita confessa che «le ingenuità, gli schemi e i pregiudizi pesano molto, si fa fatica a inquadrarci».

Da allora però, Napolitano negli Stati Uniti di casa. E quando diventa Presidente della Repubblica è Richard Gardner – con il quale i rapporti sono ancora molto stretti – a spiegare agli americani che il primo (post) comunista al Quirinale «è un vero statista, un vero democratico, e un sincero amico degli Stati Uniti». Due anni dopo anche Henry Kissinger, in un incontro organizzato a Villa Madama da Aspenia, abbozza un’autocritica per la diffidenza di un tempo.

Il pressante invito recapitato venerdì al Quirinale ha quindi una lunga storia alle spalle. Ma dopo il rigido incontro con George W. Bush nel dicembre 2007, il cambio di passo con Barack Obama alla Casa Bianca è evidente. Non è, sia chiaro, una questione di “chimica personale”, fattore irrilevante nelle scelte diplomatiche del pragmatico Obama.

Da quell’incontro di luglio i messaggi, anche indiretti, tra Washington e Roma si sono moltiplicati.

Il pubblico elogio della riforma sanitaria pronunciato da Napolitano è stato apprezzato.

Si scoprono sintonie sulla “green economy”.

Al Quirinale registrano una «sensibilità comune sulle questioni sociali». E la visione delle missioni internazionali tratteggiata da Napolitano nei viaggi in Turchia, Libano, Siria è coerente con l’approccio obamiano alla questione mediorientale.

Ma è l’Europa malata a rendere urgente il consulto di Washington. La paura del contagio costringe un presidente americano fin qui poco interessato a noi, a prendere sul serio la nostra debolezza. Politica oltre che economica. Evidente negli ondeggiamenti dei decisori europei, che secondo Giorgio Napolitano hanno causato «pesanti perdite di prestigio».

Prima di partire, il presidente della Repubblica ha fatto il punto della crisi con il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Ed è previsto anche un colloquio con Giulio Tremonti.

Napolitano peraltro sarà assistito a Washington da Franco Frattini. Ma al netto dei contenuti tecnici del colloquio, l’impressione è che alla Casa Bianca interessi soprattutto sciogliere il vecchio rompicapo di Henry Kissinger:

«Quando voglio parlare con l’Europa, non so chi chiamare». Dopo la lunga operazione di moral suasion telefonica con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, ora Barack Obama ci prova con un europeista convinto.

Obama vuole Napolitano a Washington per curare al meglio il malato europeo  UNA LUNGA STORIA. Per i primi contatti (segreti) con il Pci scelsero  lui. E fu il primo dirigente comunista italiano a poter entrare negli Usa. Ora che cercano un europeista convinto, gli americani lo aspettano con urgenza alla Casa Bianca.