Attentati o forme estreme di propaganda politica?

Pochi giorni fa manomissione alla macchina di Carlo De Benedetti, ieri colpito da uno squilibrato Silvio Berlusconi.  Botte tra massoni.
La trama di questa vicenda berlusconitaliana nel film The International di Tom Tykwer e distribuito una decina di giorni fa, che coincidenza, da Panorama/Mondadori/Berlusconi, che vi consiglio di vedere. Fate attenzione al finale del film…

Dopo essere divenuto capo del governo, Benito Mussolini fu fatto oggetto di una serie di attentati. Già il giorno della «marcia su Roma» il 31 ottobre 1922 Mussolini rischiò di morire: mentre egli si trovava a Milano un euforico squadrista inciampò e fece partire un colpo di fucile che gli sfiorò un orecchio.
Il primo attentato fu ideato il 4 novembre 1925 dal deputato massone “socialista” Tito Zaniboni e dal generale massone Luigi Capello.
Tito Zaniboni nel dopo guerra lo troviamo insieme, in funzione anticomunista, a coloro che finanziarono il fascismo e Mussolini:
«Nel 1945 un folto gruppo di grandi industriali (tra cui Vittorio Valletta, Piero Pirelli, Rocco Armando ed Enrico Piaggio, Angelo Costa e Giovanni Falck) si riunisce a Torino – il 16 e 17 giugno – per decidere i piani per la “lotta al comunismo con qualsiasi mezzo”, sia con la propaganda che con l’organizzazione di gruppi armati, questi ultimi affidati a Tito Zaniboni, un ex deputato socialista vicino alla massoneria e autore di un attentato a Mussolini che aveva provocato dure ritorsioni contro la muratoria. Secondo un rapporto dei servizi segreti americani, “le spese previste sono enormi ma gli industriali sono disposti a finanziare l’avventura”. I primi fondi, 120 milioni, sono stanziati subito e vengono depositati in Vaticano». (da Fratelli d’Italia di Ferruccio Pinotti, BUR).
Il 7 aprile 1926 Violet Gibson, figlia di Edward Gibson, primo Barone di Ashbourne e Lord Cancelliere d’Irlanda, definita poi una squilibrata, esplose un colpo di pistola in direzione di Mussolini, mancandolo di poco. Un repentino balzo all’indietro salvò il duce dalla morte, lasciandolo con solo una lieve ferita al naso.

L’11 settembre 1926 l’anarchico Gino Lucetti lanciò un ordigno esplosivo contro l’auto del Primo Ministro. La bomba rimbalzò contro lo sportello della vettura e esplose in strada ferendo 8 persone[2]. Lucetti fu immediatamente immobilizzato da un passante, tale Ettore Perondi, e poi raggiunto dalla polizia. Dalla perquisizione subito effettuata Lucetti fu trovato armato anche di una pistola caricata a proiettili dum-dum. Fu condannato a trent’anni di carcere.

La sera del 31 ottobre 1926, durante la commemorazione della marcia su Roma a Bologna, il quindicenne Anteo Zamboni spara, senza successo, un colpo di pistola verso il capo del governo, sfiorandone il petto. Additato dai gerarchi fascisti, fu linciato sul posto dalle camicie nere di Leandro Arpinati con numerose coltellate. Secondo alcune recenti ricostruzioni, l’attentato sarebbe stato in questo caso il risultato di una cospirazione maturata all’interno degli ambienti fascisti contrari alla «normalizzazione» inaugurata da Mussolini, contrario a ulteriori eccessi rivoluzionari e allo strapotere delle formazioni squadriste. Secondo tali ipotesi, il colpo di pistola non sarebbe provenuto da Anteo Zamboni, che sarebbe stato una vittima delle circostanze.
I rapporti di polizia dell’epoca dimostrano come si svolsero inizialmente delle indagini negli ambienti squadristi bolognesi ipotizzando in un primo tempo un coinvolgimento di ras locali come Farinacci e Arpinati, ma che non diedero alcun risultato. A quel punto si concluse che l’attentato non poteva che essere opera di un elemento isolato. Una ulteriore indagine sollecitata dal Ministero degli Interni fu svolta ancora dai magistrati del Tribunale Speciale ma anch’essa approdò alle medesime conclusioni conseguite dalla polizia.[6]
I procedimenti penali successivi condannarono a pene detentive il padre e la zia dell’attentatore per aver comunque influenzato il giovane nelle sue scelte, ma Mussolini poco tempo dopo decise di graziare i due condannati e di sovvenzionarne il fratello che si trovava in difficoltà economiche.

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